1925 – 1985
Sessant’anni di alpinismo sacilese
Di Luciano Colombera
Chi da Sacile guarda verso nord, non può non notare quella massiccia barriera di monti che si eleva direttamente dalla pianura per oltre duemila metri, senza contrafforti né rilievi collinari che ne attutiscano slancio e vigore e che culmina nella vetta del Monte Cavallo.
Montagna questa indicata nelle carte geografiche sin dal 1557, ed entrata nella storia, con la famosa salita di Stefanelli e Zanichelli del 1726, che fu la prima ascensione alpinistica delle Alpi Orientali.
La fama del Monte Cavallo è da attribuire, oltre alla sua caratteristica morfologia, al fatto che esso è visibile da gran parte della pianura veneto-friulana, che si estende ai suoi piedi fra Venezia e Trieste.
Anche le popolazioni del sacilese non poterono non subire il suo fascino, tanto che, in tempi più recenti, i nostri vecchi, vuoi per quel senso di arcano mistero che avvolge le vette o molto più semplicemente per trarne gli auspici di tipo meteorologico, pratica assai diffusa fra le popolazioni prossime a catene montuose, hanno da sempre guardato alle “tre ponte del bon caval”, come loro lo chiamavano bonariamente, per la particolare prospettiva a tre punte che essa presenta da Sacile.
Proprio su queste montagne, e non poteva essere altrimenti, mossero i primi passi gli alpinisti sacilesi agli albori del ‘900.
I primi nomi che compaiono in quel periodo sono quelli di Ezio e Mario Bellavitis e di Emilio Chiaradia di Caneva, che, mossi da interesse e simpatia per l’alpinismo, aderirono alla più vecchia associazione alpinistica operante in zona a quel tempo, la Società Alpina Friulana di Udine. La stessa S.A.F. consigliava ai propri soci, che intendevano compiere salite nel gruppo del Cavallo, due guide del luogo, Pietro Bravin di Polcenigo e Valentino Mezzaroba di Budoia.
Poco prima dello scoppio della grande guerra, comparve un personaggio che per anni avrebbe condizionato e determinato la scena alpinistica sacilese, e non solo quella. Si tratta del Prof. Vittorio Cesa De Marchi, nativo di Caneva, che, dall’età di 17 anni salì tutte le vette del Monte Cavallo e, negli anni successivi, esplorò sistematicamente l’intero gruppo, tanto da pubblicare, nel 1925, una vera e propria monografia, la prima edita in lingua italiana.
Effettuò, in quel periodo, anche numerose prime salite in altre zone, quali Popera, Sassolungo, Canin, Marmolada, Campanil Basso di Brenta, Campanile di Val Montanara, Sella, Torri del Vaiolet, Piccola e Piccolissima di Lavaredo, Cervino, Monte Bianco, Monte Rosa, e tante altre ancora con vie sempre di grande difficoltà, fatte tutte senza guida e, salvo rare eccezioni, sempre come capo cordata con giovani, come i sacilesi Granzotto e Tallon ed i pordenonesi Carlesso e Maddalena, Marchi ed altri, per i quali fu un vero maestro.
Per questa sua intensa e qualificata attività, fu chiamato nel 1921, a soli 26 anni, a far parte del Club Alpino Accademico Italiano.
Sotto la sua spinta nacque in Sacile il primo gruppo di alpinisti, che, nel 1924, contava già una trentina di unità e che, l’anno successivo, esattamente il 1° Maggio 1925, si costituiva in Sottosezione del Club Alpino Italiano, alle dipendenze della Sezione di Pordenone, che pochi mesi prima si era resa autonoma da quella di Treviso.
I nomi dei soci sacilesi che incontriamo in questo periodo, oltre ai già citati Vittorio Cesa De Marchi (Capo gruppo) e Renzo Granzotto (Segretario) , sono quelli di: Angelico Granzotto, Amedeo Bertazzoli, Francesco Candiani, Mario Cappelan, Antonio Conte, Gianbattista De Carlo, Tino De Martin, Guido Mantovani, Antonio Morgantini, Ruggero Pavan, Otello Plazzogna, Zaccaria Zancanaro, Angelo Sartori, Ferruccio Sartori, Arrigo Tallon, Elio Viotto, Mario Viotto, Antonio Bellavitis, Leo Padoin, Olinto Molinari, Giuseppe Amadio ed altri ancora.
Interessante è anche leggere il programma gite del 1925, di tutto rispetto, che prevedeva tra l’altro la salita al Civetta ed all’Antelao (in una giornata partendo ovviamente da Sacile!).
Nello stesso anno fu inaugurato, dalla Sezione di Pordenone, il rifugio Policreti in Pian Cavallo, che venne gestito, nella stagione estiva, ininterrottamente fino al 1944, dalla famiglia Santin di Caneva prima e dalla famiglia Casagrande di Sacile poi.
Gli anni che seguirono furono i più esaltanti per l’alpinismo di punta sacilese. Attorno all’Accademico Cesa De Marchi, si costituì un valido gruppo di giovani scalatori che effettueranno molte prime salite sia sulle Carniche che nelle Dolomiti. E’ di questo periodo la variante alta (5°) al Campanile di Val Montanara (Cesa De Marchi-Granzotto, Tallon), il Tremol parete nord est (Granzotto-Padoin) il Cimon di Palantina (variante Cesa De Marchi, Gava, Giol) il Cimon dei Furlani parete nord est (Cesa De Marchi, Giol), il Tremol camino est (Cesa De Marchi, Giol), il Canin parete nord (Cesa De Marchi, Granzotto), il Creton di Clap Grande spigolo sud est (Cesa de Marchi, Maddalen), il Creton di Clap Grande parete ovest (Cesa de Marchi ed altri), i Fulmini di Popera gola sud (Cesa de Marchi ed altri), la Croda del Rifugio nelle Lavaredo (R. Granzotto ed altri), la cima di Malquorjra parete nord (R Granzotto ed altri), la Piccola di Lavaredo (variante Cesa De Marchi).
Oltre a queste prime, furono ripetute le più classiche vie di arrampicata dell’epoca su tutto l’arco dolomitico, con difficoltà sino al sesto grado.
Verso il 1940 il periodo aureo si concluse. Il Prof. Cesa De Marchi, insegnante di matematica, si era nel frattempo trasferito a Torino per motivi di lavoro, continuando peraltro, sulle Alpi Occidentali la sua appassionata attività alpinistica. Lo scoppio della seconda guerra mondiale segnò la quasi completa stasi dell’attività della Sottosezione. Gran parte dei soci furono chiamati alle armi e rimasero lontani da casa per molti anni. Alcuni non fecero più ritorno, come Renzo Granzotto, tenente degli alpini, caduto sul Golico l’8 marzo 1941, assieme a Aldo Marchi della Sezione di Pordenone, entrambi decorati della medaglia d’argento al valore militare. Altri, a causa dei continui bombardamenti del nodo ferroviario di Sacile, furono costretti a sfollare nelle vicine campagne, abbandonando, assieme alle case, anche le cose più care: proprio in queste occasioni andò perduta gran parte della documentazione riguardante l’attività della Sottosezione.
Nel dopo-guerra l’attività stentò a riprendere: i motivi furono molti, alcuni di carattere generale come l’impegno nell’opera di ricostruzione, altri strettamente inerenti all’attività alpinistica, come la riduzione drastica della schiera degli arrampicatori, ma soprattutto la mancanza di una figura carismatica. Renzo Granzotto non c’era più e l’amico Cesa De Marchi viveva lontano mantenendo solo rari contatti con il paese d’origine. Nei periodi estivi, fra il 1949 ed il 1952 effettuò qualche salita nel gruppo Col Nudo – Cavallo, fra cui l’ultima, il 18 agosto 1952, sul Messer, pilastro e cresta sud ovest. Per il resto l’attività era prevalentemente escursionistica.
La cima più frequentata negli anni ’50, era sempre la classica Manera, che si raggiungeva partendo da Dardago, per S. Tomè, Valle della Stua, il Saùc, con pernottamento nelle casere del Pian Cavallo.
Nel 1956 la Sezione di Pordenone, con il valido contributo dei sacilesi, inaugurò il rifugio Piancavallo, che sostituiva il vecchio rifugio Policreti, andato distrutto, ad opera dei tedeschi, nel 1944, durante la guerra, costituendo così un valido punto di appoggio per le salite al gruppo.
Negli anni ’60 vi è un certo risveglio, i soci aumentano discretamente, si organizzano gite sociali di più ampio respiro, quali la salita alla Tofana di Rozes, al Piz Boè ed altre ancora, tutto con buon successo. Vengono organizzate serate importanti, con l’intervento di alpinisti di fama come Cesare Maestri, allora sulla cresta dell’onda. Pian piano si ritorna ad arrampicare su difficoltà medie, quali il classico Campanile di Val Montanara, i Monfalconi, l’Averau, le Cinque Torri, il Falzarego, ed altre ancora. In questo periodo il recapito del C.A.I., a Sacile, è sempre presso l’agenzia del buon Olindo Molinari, in Contrada dell’Oca.
Nel 1967 muore a Torino, all’età di 72 anni, il Prof. Cesa De Marchi, artefice e portabandiera dell’alpinismo sacilese per diversi decenni. Con lui scompare una nobile figura di educatore ed uno dei più completi e rappresentativi esponenti dell’alpinismo pionieristico esplorativo, e successivamente di quello moderno.
L’attività ristagna per qualche tempo fino al 1975, anno in cui alcuni soci decidono di dare impulso alla Sottosezione, che conta solamente una trentina di iscritti. Alcuni di essi frequentano i corsi roccia alla Scuola di Val Montanaia di Pordenone, mentre viene trovata una sede sociale provvisoria in viale Lacchin.
Dopo la pausa del sisma del 1976, si riprende l’attività sia in città che in periferia. Nel 1978, dopo qualche anno di assenza, vengono nuovamente programmate le gite sociali.
Nel 1979 viene indetta un’assemblea generale in cui si gettano le basi per un rilancio definitivo e duraturo. Nel 1980 si toccano le 100 unità e viene costituita legalmente con atto notarile, la Sottosezione; vengono effettuate 8 gite sociali con un totale di 200 presenze.
Nel 1981 i soci salgono a 149. Molti di essi partecipano attivamente alla vita sociale. Il calendario delle gite si fa più nutrito ed a fine stagione la partecipazione sarà di 400 persone.
Nel mese di agosto alcuni soci del gruppo roccia portano in vetta al Duranno una statua della Madonna, in marmo di Carrara, scolpita da uno di essi: con lo stesso spirito, 19 anni prima, nel 1962, altri soci erano saliti sulla Cima Manera e vi avevano installato una Madonnina in alluminio, fusa da uno di essi in una fornace sacilese.
Il 1982 vede l’inizio di un momento felice: un aumento progressivo e costante di iscritti (182) nuove idee ed intensa partecipazione alla vita sociale. Riprende anche, con un certo vigore, l’attività alpinistica su tutto l’arco alpino con difficoltà comprese fra il terzo ed il quinto grado.
Riaffiora così il desiderio, da tempo sognato ma anche sopito, di rendersi autonomi. Così, con la benevola comprensione ed il sincero incoraggiamento della Sezione madre, viene inoltrata la richiesta di trasformarsi in Sezione. Dopo un lungo periodo di silenzio, il 22.06.83, giunge un messaggio di conferma dalla Sede Centrale: “abbiamo il piacere di comunicarVi che il Consiglio Centrale, nella sua riunione del 18 giugno u.s., a Milano, ha ratificato la trasformazione in Sezione della Sottosezione di Sacile, già deliberata dal Comitato Veneto Friulano e Giuliano, a norma dell’art. 11 dello Statuto Sociale. Ci è gradita l’occasione di porgervi i migliori saluti. Firmato il Segretario Generale Ing. Leonardo Bramanti”. Dunque a Sacile ora vi è ufficialmente una Sezione del Club Alpino Italiano.
L’11 novembre viene indetta, alla presenza dell’Avv. Toni Rosso, Presidente della Sezione di Pordenone, dal Rag. Luigi Brusadin, Vice-Presidente e del P.i. Sergio Fradeloni, Segretario della Fondazione Berti, un’assemblea straordinaria dei soci, che, all’unanimità, approva la costituzione della Sezione ed il suo Statuto, ed elegge il primo Consiglio Direttivo che risulta composto, per il biennio 1984-1985 da: Dr. Piergiorgio Tonello, P.a. Luciano Colombera, Gianni Zava, Gianni Marchetti, Luigi Piccin, Luigi Spadotto, P.i. Marco Pradella, P.c. Mario Ivan, Emanuele Campo, Dr. Aldo Modolo e Giovanni Nadalin.
Il neo –Consiglio, alla sua prima seduta, nomina Presidente il Dr. Piergiorgio Tonello, Vicepresidente il P.a. Luciano Colombera (già prezioso Reggente della Sottosezione), Segretario Gianni Zava e Tesoriere Gianni Marchetti. Vengono anche istituite alcune commisioni: escursionismo, roccia, protezione natura alpina, sci-alpinismo, sci da fondo-escursionismo, con lo scopo di raccogliere e coltivare i vari interessi nel campo dell’alpinismo.
Il 3 dicembre 1983 la festa della Sezione con la partecipazione del Vice-Presidente Generale del C.A.I., Colonnello Carlo Valentino, gli alpinisti vecchi e giovani quali Raffaele Carlesso, Giuliano De Marchi, Sisto Degan, Dino Ulian ed altri. Presenti anche i rappresentanti della Sezione madre, che hanno fatto dono di una bella targa ricordo, delegazioni di Sezioni viciniori nonché soci ultracinquantennali come il Comm. Leo Padoin ed il Prof. Giuseppe Amadio, ed altri ancora come il M.o Umberto Sanson, ed una folla che ha letteralmente stipato la sala del teatro Ruffo. Una settimana dopo, il 10, a coronamento dei festeggiamenti, l’intervento di Francesco Santon e Giuliano De Marchi, che hanno presentato in prima assoluta le diapositive ed il libro sulla vittoriosa spedizione sul K2, dal versante cinese. Alla fine di un anno da non dimenticare, i soci sono 192.
Il 1984 verrà ricordato come quello del boom della Sezione, che presenta subito le sue credenziali fatte di intensa attività ed aperture a tutte i campi, conscia anche dei doveri civili spettanti all’associazione. Vi è un incremento del 56% dei soci, ora 265. Viene finalmente assegnata dal Comune una sede che, grazie alla buona volontà di alcuni soci è stata letteralmente trasformata. Si trova in Viale Zancanaro 29: alla sua inaugurazione, il 26 maggio, sono presenti il Sindaco, Dr. Mario Sartori di Borgoricco, il Vice-Sindaco, l’Assessore all’associazionismo e sport, l'Assessore ai lavori pubblici, il presidente della Pro Sacile, i rappresentanti di altre Sezioni e tanti e tanti soci e simpatizzanti.
Nella nuova sede viene allestita una biblioteca, inizialmente di 63 volumi, ma in continuo aggiornamento.
Il 1984 è stato anche un anno di intensa attività sociale e culturale che vede la nostra Sezione presente a molte manifestazioni regionali e nazionali, portando un proprio contributo di idee.
Continua l’attività alpinistica, sempre più intensa e numerosa, comprendente difficoltà fino al 6° grado.
Viene ristrutturato, grazie all’aiuto dell’A.N.A. di Polcenigo, lo storico sentiero del Torrion, di circa 950 m. di dislivello che raggiunge l’altopiano della Candaglia.
Vengono anche iniziati i lavori per approntare, in collaborazione con la Provincia di Pordenone, un percorso ginnico nel parco di San Floriano, a Polcenigo.
Le premesse sono certamente favorevoli e l’impegno è di continuare, anzi migliorare sempre di più a vantaggio di tutti i soci e non, anche per dimostrare la volontà e la serietà della Sezione di Sacile del Club Alpino Italiano.